Pale eoliche galleggianti, Oslo inaugura una nuova era

(lastampa.it) – Giù la produzione negli Stati Uniti, il petrolio torna vicino a 50 dollari. Goldman Sachs: surplus mondiale di greggio azzerato entro il 2016
La Norvegia è piena di petrolio (è uno dei grandi produttori mondiali) ma va pure a cercare energie alternative all’estero, e così l’azienda pubblica norvegese Statoil ha firmato un contratto per costruire al largo della Scozia un parco eolico marino fluttuante, il primo al mondo del suo genere: non piloni piantati sul fondale ma turbine che galleggiano.
Da notare che in questa tecnologia l’Italia è stata pioniera, ma al momento, da noi, parchi di questo tipo non sono previsti. Fra l’altro, a posizionare le turbine in Scozia lavora la nave italiana Saipem 7000.
A guardare i progetti delle turbine norvegesi c’è da restare increduli: si tratta di strutture altissime, 178 metri dal pelo dell’acqua alla punta della pala quando questa è in verticale (e in più ci sono 80 metri di galleggiante sott’acqua); come fanno a non ribaltarsi? Risposta: una struttura vuota galleggia come galleggia lo scafo di una nave, e si mantiene in verticale perché un computer provvede a conservare l’equilibrio elaborando una mole gigantesca di dati, dal moto ondoso alla forza del vento fino alla stessa dinamica delle pale; poi intervengono i motori di posizionamento.
Ma perché mai bisogna andarsi a cercare tutte queste complicazioni, quando basterebbe piantare un solido pilone ne sottofondo marino e non pensarci più? Il fatto è che le strutture galleggianti possono essere collocate a più grande distanza dalle coste, dove il vento è più forte. Le turbine vengono fissate al fondale con cavi e tanto basta.
Infine c’è la questione del perché andare a costruire la piattaforma in Scozia anziché in Norvegia. Spiega al telefono Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia: «Conviene fare così perché nel Regno Unito le tariffe dell’elettricità sono più alte, e previste in aumento nei prossimi anni per carenza di elettricità».
Sempre nel mondo dell’energia, un’altra carenza che si sta preparando – a livello globale – è quella di petrolio. È un fatto sorprendente, visto che nell’ultimo biennio il ritornello è stato l’eccesso di produzione, che ha fatto crollare i prezzi. Adesso la tendenza si inverte.
Quasi raddoppiando rispetto al minimo di 26 dollari toccato a gennaio, ieri il barile di Wti americano è arrivato a sfiorare i 48 dollari, e il Brent europeo ha avvicinato i 50.
Questo si deve alla chiusura di molti pozzi, che non ripagano più il costo dell’estrazione; secondo l’azienda americana di servizi petroliferi Baker Hughes, negli Stati Uniti sono rimasti attivi solo 409 impianti, contro gli oltre 1600 del momento di massimo splendore dello «shale oil», il petrolio alternativo da scisto. Un rapporto di Goldman Sachs valuta che l’eccesso mondiale di offerta di greggio, che all’inizio del 2016 era di quasi 2 milioni di barili al giorno, entro fine anno verrà azzerato. È comunque probabile che l’Arabia Saudita manovri per mantenere le quotazioni del barile entro il limite dei 65 dollari, per evitare che i produttori usciti dal mercato possano rientrarci e far crollare un’altra volta i prezzi.
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